Cuore Amico

Gibuti: Il servizio umanitario di una Chiesa povera

Il vescovo Giorgio Bertin indica una linea evangelica per evitare proselitismo in una regione completamente musulmana e chiede aiuto per le scuole "Lec" di alfabetizzazione.


Bambini di Gibuti
Con la forza debole del Vangelo, anche il deserto può fiorire.

È una pagina aperta di Vangelo la testimonianza di monsignor Giorgio Bertin. Francescano, missionario in Somalia dal ’78 e amministratore apostolico di Mogadiscio è costretto a ripiegare in Kenya dalla furia contro i cristiani, a seguito dell’uccisione del vescovo della capitale avvenuta nel ’91.
Un rifugiato in mezzo a tanti altri, vescovi compresi, che nel 2001 papa Giovanni Paolo II nomina anche vescovo di Gibuti, lo staterello relativamente più tranquillo di tutto il Corno d’Africa con una popolazione interamente musulmana. Una chiesa di periferia, forse anche di più.
Eppure, afferma, «questo ci permette di svolgere la nostra missione soprattutto nel campo della testimonianza umanitaria, caritativa».


Bambine di Gibuti
"Ci siamo prefissi di accogliere bambine e ragazze almeno per la metà"

La logica evangelica che lo ispira è trasparente: in situazioni dove la Chiesa è estremamente piccola, minoritaria, «se sappiamo lavorare con intelligenza e con umiltà possiamo fare grandi cose», dice.
E racconta che a un incontro di Caritas Internationalis si parlava di come rafforzare le caritas fragili come quella di Gibuti.
«Non dovete rafforzarci, ho detto. Dovete sostenere la nostra fragilità. Non voglio diventare una caritas forte, perché potrei creare dei danni. È proprio grazie alla nostra piccolezza che possiamo fare delle buone cose senza destare sospetti di proselitismo».
La dimostrazione di questo stile evangelico viene in evidenza anche nelle attività che monsignor Bertin porta avanti a Gibuti e su cui vuole attirare la nostra attenzione.
L'acronimo Lec sintetizza le piccole-grandi cose di cui parla: “lire, écrire, compter”, leggere, scrivere, far di conto. Si tratta di piccoli centri di formazione che rappresentano l’unica chance di alfabetizzazione a Gibuti e nei territori circostanti. Ne ha aperti cinque, tutti rivolti per lo più a giovani migranti che, a migliaia (fino a 150mila in un anno!), transitano in centri urbani come Tadjourah, piccola città del nord.


Mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti, spiega la difficile situazione di chi fugge dai Paesi del Corno d'Africa in guerra.



Caritas Gibuti

Rappresentano l'unica chance di alfabetizzazione, perché non esiste niente del genere rivolto in modo specifico ai ragazzi e alle ragazze.
«Ci siamo prefissi di accogliere bambine e ragazze almeno per la metà» spiega il vescovo. «In due dei cinque Lec ospitiamo anche bambini e bambine disabili che prima erano tenuti nascosti o incatenati. Abbiamo inventato, là dove non c’era, la scuola inclusiva, tanto che lo Stato ha istituito un’agenzia specializzata coinvolgendo una suora esperta».
Grazie al Lec si può sperare in un futuro migliore: più integrazione sociale, accesso più facile a livelli superiori di istruzione e al mondo del lavoro. Ma le domande continuano ad aumentare e sono costretti a rifiutarne per mancanza di spazi.
«Il governo apprezza molto questa nostra opera ma non è in grado di finanziarla. Oltre all’aiuto di Caritas Italia e Spagna, chiediamo il vostro aiuto per continuare la nostra missione educativa».
Servono in particolare libri, banchi, sedie e attrezzature scolastiche. Ce la faranno? Sì, con la forza debole del Vangelo anche il deserto può fiorire.


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Id progetto: 105978 | Aggiornato il 14 febbraio 2024  da P. Ferrari   email | modifica | permalink



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