Lo scorso marzo, durante la visita in Vaticano del presidente libanese Michel Aoun, papa Francesco ha promesso: «Visiterò il Libano e pregherò sempre per voi». Il Paese dei cedri occupa un posto particolare nel cuore del pontefice, visto che da anni rappresenta un luogo fertile per il dialogo interreligioso e per l'ecumenismo. Ora questa nazione è oppressa dalle conseguenze dei conflitti che insanguinano i vicini Siria e Iraq e dalla minaccia del terrorismo. Questa situazione di emergenza ha fatto sì che il Libano, che conta poco più di 4 milioni di abitanti, si trovi ad accogliere più di 2 milioni di profughi, considerando sia quelli censiti che quelli non registrati.
«Il continuo flusso di questi migranti attesta l’atrocità della guerra mediorientale», spiega l'abate Marcel Elias Kalil, 86 anni, sacerdote maronita alla guida della parrocchia di Der-El-Kamar, nei pressi di El-Chouf. «Stiamo facendo tutto il possibile per aiutare gli sfollati, ma abbiamo tante difficoltà, causate anche dal periodo di recessione economica che il Paese sta attraversando». Il religioso ha avviato un servizio assistenziale che, nelle sale parrocchiali, fornisce un pasto caldo ai rifugiati. Ma le risorse scarseggiano e l’abate rischia di dover interrompere quest’opera di carità tanto preziosa. Aiutiamolo a proseguire perché, come dice Kalil stesso, «bisogna far vedere cos'è il cristianesimo: accoglienza, tolleranza, bontà, amicizia, rispetto reciproco».
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