Dal primo gennaio, ogni giorno del 2022, la messa quotidiana verrà celebrata nella Basilica Santuario Maria Santissima del Tindari in Sicilia.
Bruna Madonnina del Tindari,
Madre nostra, Fiducia nostra,
rivolgi su noi gli occhi tuoi
misericordiosi.
Sorge in Sicilia su un'incantevole collina a precipizio sul Tirreno settentrionale a Tindari, città di fondazione greca (sec. IV a.C.) e sede fino al IX sec. di una delle più antiche Chiese diocesane dell'Isola.
Il Santuario consta di due edifici: il primo riedificato intorno al 1598 su un precedente tempio mariano risalente al IX secolo circa; l'altro iniziato nel 1956 e consacrato nel 1979, voluto dall’allora vescovo di Patti, mons. Giuseppe Pullano.
Fin dall’epoca delle Crociate il suo nome è associato alla Vergine bruna, una sacra effigie scolpita su legno di cedro che rappresenta Maria. Riportata al primigenio splendore dopo un restauro avvenuto nel 1997, l'immagine risente degli influssi tardo-bizantini del primo millennio e propone, in versione tridimensionale, la bellezza di una icona d’Oriente, il cui messaggio teologico è correlato al mistero della Maternità divina di Maria.
Maria Santissima del Tindari
La scultura lignea (in cedro del Libano), orientaleggiante, è databile tra la fine del secolo VIII e i primi decenni del secolo IX.
La Madonna è nera, con un caratteristico volto lungo, non facilmente riscontrabile in altre statue religiose, ed è una Theotókos Odigitria (Madre di Dio e Madonna del buon cammino) rappresentata come Basilissa, ossia come "Regina", mentre regge in grembo il Bambino Gesù che tiene la mano destra sollevata e benedicente.
Sul capo è posta una corona o un turbante di tipo orientale. Sotto il trono, la scritta "Nigra sum sed formosa" riprende la frase del Cantico dei Cantici (1,5) che significa letteralmente "Sono nera ma bella".
L'origine del culto
Secondo la tradizione la statua bizantina della Madonna nera di Tindari, proveniente dall'Oriente per sfuggire alla persecuzione iconoclasta (XIII-IX secolo d.C.) e contenuta in una cassa, impedì alla nave che la trasportava di ripartire, dopo che questa si era rifugiata nella baia di Tindari, presso i laghetti di Marinello (nelle vicinanze del Santuario), per sfuggire a una tempesta.
I marinai depositarono a terra via via il carico, pensando che fosse questo a impedire la partenza e, solo quando aprirono la cassa e prelevarono la statua, la nave poté riprendere il mare.
Questo fatto fu interpretato come il desiderio della Vergine di rimanere in quel luogo. La statua fu portata quindi sul colle soprastante, dentro un piccolo tempio dedicato anticamente alla dea Cerere sul quale in seguito fu edificata una Chiesa più volte ampliata, per accogliere i pellegrini attratti dalla fama miracolosa del simulacro.
Gli albori del cristianesimo a Tindari
Molti secoli prima dell'approdo dell’icona della Vergine bruna a Tindari, Plinio il vecchio (Naturalis Historia II, 84) documenta un grave terremoto, avvenuto nella seconda metà del I secolo d.C., sul colle ove prosperava la celebre città che sotto Ottaviano era stata denominata Colonia Augusta Tindaritanorum (35 a.C.).
Nonostante il lento declino innescato dal disastro naturale e dalle difficoltà dei tempi, intorno al IV secolo è accertata la fondazione o la presenza a Tindari di una comunità cristiana, organizzata come Chiesa locale.
I nomi di alcuni Vescovi di questa Diocesi sono stati fortunatamente tramandati, grazie alla loro presenza ai Concili e ai Sinodi. Infatti, sappiamo che nel 499 il vescovo Severino partecipa al Concilio romano di papa Simmaco.
Nel 593 il vescovo Eutichio è menzionato e lodato, per il suo zelante ministero, nell'Epistolario di S. Gregorio Magno (IX, lib. 1) a cui dobbiamo anche il nome di un altro vescovo di Tindari, Benenato (599). Ancora, nel 649 il vescovo Teodoro prende parte al Concilio Lateranense sotto papa Martino I.
Infine, l'ultimo vescovo di Tindari, Teodoro, per l'avanzare inesorabile delle armate islamiche, intorno all'899 ripara inizialmente a Messina e in seguito a Siracusa.
La partenza di questo prelato determina la fine storica della Chiesa diocesana di Tindari, che oggi sopravvive solo come Chiesa titolare. Il suo territorio verrà, intorno all'XI sec., assorbito dalla nuova istituzione diocesana di Patti.
Tindari e il suo santuario nel periodo medievale
La presenza cristiana a Tindari, dopo lo sfacelo dovuto alla conquista mussulmana, è connessa alla cosiddetta conquista normanna della Sicilia, avviata a partire dal 1061 dal gran conte Ruggero (Ruggero I d'Altavilla). La nuova reggenza normanna ottiene, con la conferma del Papa Urbano, che il territorio di Tindari sia posto sotto la giurisdizione del nuovo monastero di Patti. Questa fondazione benedettina sorge unita a quella di Lipari sotto un unico abate, Ambrogio, il cui nome è legato alla nascita del vescovato pattese. Intorno al 1140 è documentata a Tindari la presenza di religiosi ai quali viene affidata la cura di un ospedale. Forse è questo il nucleo originario su cui si svilupperà il successivo Santuario che, inizialmente, doveva consistere in un alloggio per pellegrini e viandanti e in un ricovero per l'assistenza dei malati e dei più sprovvisti.
Nel periodo caratterizzato in Sicilia dalle lotte fra Angioini e Aragonesi (fra i secoli XIII e XV), Tindari è privata della comunità religiosa. Infatti, nel 1302 gli aragonesi prendono possesso della Sicilia e il loro re Federico espelle il vescovo di Patti e i chierici della sua giurisdizione, fra i quali i monaci di Tindari. Dopo circa mezzo secolo (1355) il Vescovo è nuovamente reintegrato nella sua Diocesi e nei suoi possedimenti, e anche a Tindari tornano i monaci per l'ospedale-santuario. Questa presenza di religiosi nel Santuario tindaritano, benché inizialmente intermittente, potrebbe spiegare l'inziale evoluzione medievale dell'antico e ininterrotto culto alla Madre di Dio, su questo colle incantevole della Sicilia tirrenica.
Tindari e il suo Santuario nel secolo XVI
Mentre le grandi conquiste culturali e lo sviluppo delle arti investono l'Italia e l’Europa, la storia registra a Tindari avvenimenti sinistri: intorno al 1544 il Santuario è funestato dalla furia devastatrice del pirata saraceno Rais Dragut, chiamato anche Ariadeno Barbarossa.
Secondo le cronache del tempo, la piccola comunità cristiana di Tindari e i locali del Santuario subiscono le violente scorrerie dei pirati che arrivano persino ad asportare le campane della Chiesa.
È solo risparmiata la sacra effigie della Vergine bruna, forse perché prontamente nascosta.
È probabile, quindi, che per l'irruzione del Barbarossa e di altre ricorrenti scorribande dei saraceni che infestavano le coste siciliane, scompare a metà del XVI secolo l'antico edificio che aveva accolto l’immagine orientale della Madonna bruna.
Forse doveva trattarsi dell’antico tempio che custodiva le vestigia della sede vescovile tindaritana, eretta alla fine del sec. IV e attiva fino alla fine del sec. IX, allorché subì la sorte di molte altre sedi diocesane di Sicilia, decapitate a causa dell'invasione mussulmana, completata intorno al 902.
Gli assalti saraceni che devastarono Tindari nella prima metà del sec. XVI costituiscono uno dei momenti più infelici della sua storia millenaria, ma segnano anche gli inizi di una rinascita.
Infatti, dopo le razzie di Ariadeno Barbarossa, il viceré di Palermo Giovanni de Vega concede ai tindaritani l'esenzione di dieci anni dalle tasse demaniali.
Inoltre, il vescovo di Patti, mons. Bartolomeo Sebastian (1549-1568) provvede alla riedificazione del tempio danneggiato. La data incisa sul magnifico portale in pietra arenaria – 1599 – coincide probabilmente con il completamento della ricostruzione.
Fu anche approntato, insieme alla Chiesa, un più degno alloggio per la permanenza di due canonici e un diacono a servizio del Santuario.
Il fatto poi che nel 1575 il vescovo Marinto (1569-1578) ottenga dalle autorità spagnole di festeggiare la Madonna l'8 settembre di ogni anno, segnala una certa rinascita di Tindari alla fine del secolo XVI, documentata anche dal fatto che al Santuario risiedono ormai sedici chierici – quattro diaconi, quattro sacerdoti ed otto canonici – per l’accresciuto numero di pellegrini.
Tindari e il suo Santuario. La devozione mariana nei secc. XVII-XIX
Dal 1575 a Tindari l'8 settembre di ogni anno si celebra la festa della Vergine bruna. Questa data veniva probabilmente osservata come solennità annuale anche prima del riconoscimento ufficiale.
Le ragioni sono legate alle contingenze stagionali del tempo fra l’estate e l'autunno, fra i lavori della mietitura e l’incipiente fatica della semina. Gli inizi di settembre costituivano anche un’opportunità di scambio e acquisto di quanto era necessario in famiglia per prepararsi all’inverno.
Ma l'8 settembre, allora come oggi, metteva in risalto l'amore dei cristiani per la Madre del Signore. Infatti, quel giorno si celebra la Natività di Maria: gli inizi della salvezza dopo il tempo dell’attesa.
Così a Tindari, con le fiere e i pellegrinaggi, dopo i tempi tristi delle scorrerie e delle devastazioni, si auspicava una rinascita sociale, celebrando la natività di Colei che doveva generare il Principe della pace.
Anche oggi nel Santuario gli inizi e tutto settembre sono consacrati alla venerazione di Maria, con l’afflusso ininterrotto di pellegrini che cercano nella Madre di Dio la bussola per il loro cammino.
Tindari e il Santuario della Madonna bruna in epoca moderna
L'incremento lungo i secoli della devozione verso la Madre di Dio a Tindari è andato di pari passo con la cura pastorale dei Vescovi di Patti a vantaggio dei pellegrini e dei visitatori.
Già a partire dagli inizi del secolo XVII mons. Napoli (1609-1648) dispone l'ampliamento della piccola Chiesa e degli adiacenti locali per accogliere il numero sempre crescente dei pellegrini.
In tempi più recenti il vescovo Maragioglio (1875-1888) e il successore mons. Privitera (1890-1902) si occupano di abbellire locali e Santuario, rendendo carrozzabile anche la strada che dal percorso nazionale sale verso il Santuario.
Così, alla fine del sec. XIX è possibile ammirare a Tindari uno sviluppo pastorale e strutturale che sfocia nella istituzione di un orfanotrofio per accogliere i senza casa e senza famiglia.
In tal modo, l'onore e la devozione alla Madonna diventano per il pellegrino e per ogni cristiano forza educativa e strumento di promozione umana, affinché si impianti sempre più decisamente nella società una civiltà dell'amore.
Il Santuario della Madonna bruna nei secoli XX e XXI
L'avvento del XX secolo segna per Tindari l'inizio di un grande risveglio ecclesiale e culturale. Tindari è sede delle prime convocazioni dei Vescovi di Sicilia e, nel 1912, del primo Congresso diocesano.
Si realizza la grande piazza del Santuario e una nuova organizzazione logistica per l’accoglienza dei pellegrini.
Fino al 1955 il Santuario è anche piccolo Seminario: l'amore per Maria, Donna del sì, diventa lo sfondo per verificare e amare la chiamata del Signore. Dal 1953 al 1977, sotto il vescovo Giuseppe Pullano, viene eretto il nuovo Santuario e sono istituite le suore Speranzine.
Negli anni '80 si attiva a Tindari la radio, una casa di accoglienza per il Clero anziano e un’altra per i bambini malati. Soprattutto giunge in pellegrinaggio San Giovanni Paolo II (12 giugno 1988).
Alla fine degli anni '90 viene restaurata l’effige lignea della Vergine.
Nel 2018 l'attuale vescovo di Patti, mons. Giombanco, dispone l'elevazione del Santuario a Basilica pontificia.
Oggi il Santuario di Tindari risplende nella Chiesa come faro di santità e canale di grazia. Colei che proclama a ogni cuore: «tutti i secoli mi diranno beata» (Luca 1,48), addita al mondo il tesoro prezioso di Cristo.
A tutti coloro che invieranno una offerta per la Santa Messa quotidiana verrà inviata la pagellina (dell'anno in corso) con la preghiera.
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