Racconta sant'Atanasio, vescovo di Alessandria, che un giorno Antonio, un giovane orfano al quale i genitori avevano lasciato in eredità un ingente patrimonio, entrò in chiesa e udì proclamare nel Vangelo le parole di Gesù:«Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri; poi vieni e seguimi».
È interessante sentire che Antonio, a differenza del giovane del Vangelo al quale Gesù aveva rivolto lo stesso invito, rispose con prontezza e cominciò una nuova vita, dando inizio a una forma di vita cristiana, quella monastica.
Ogni anno il 2 febbraio siamo invitati a pregare per le vocazioni religiose che oggi sono quelle che vogliono attuare quella parola di Gesù, scegliendo la povertà come stile di vita, e con essa la carità che si esprime nel servizio ai poveri in ogni ambiente: scuola, ospedale, mondo del lavoro, carcere...
Povertà però è anche l’essere esclusi dall'annuncio del Vangelo che, per chi prende sul serio la proposta di Gesù, rappresenta il principale dono che il credente fa all'umanità.
Mi stupisce costatare che molti cristiani non sono preoccupati del venir meno dei religiosi e delle religiose e che, di solito, se ne parla solo in termini efficientisti ("quando c’erano le suore... "). La vita religiosa, però, non ha valore solo perché qualcuno gratuitamente offre servizi a chi è nel bisogno, ma perché testimonia la radicalità che sta al centro del Vangelo: quella radicalità che è incarnata nel Figlio di Dio che, per amore nostro, «non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo» (Fil 2,6-7).
Don Flavio Dalla Vecchia, Presidente di Cuore Amico
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