A volte pare poco credibile che nella nostra società così avanzata e immersa nella tecnologia possano ancora esistere intere comunità di indios che vivono su palafitte o dentro capanne di frasche nel folto della foresta. Salgono alla ribalta della cronaca solo quando brucia un pezzo di Amazzonia o quando tragiche epidemie le rendono vittime privilegiate.
C'è però qualcuno che si occupa della loro salute: è il dott. Gabriele Lonardi, medico italiano partito quasi quarant'anni fa per il Brasile per fare il servizio civile al posto di quello militare [Link].
È ancora là, dove svolge la sua missione di medico tra gli indios e gli ammalati di lebbra, convinto che ogni uomo abbia diritto alla sua dignità e alla salute.
Gabriele Lonardi, premio Cuore Amico 2020, medico missionario in Brasile. Ritira il fratello Giovanni.
La missione del dott. Gabriele
Per raggiungere i suoi pazienti, gli indios Suruwahá, impiega da quindici a venti giorni. Dipende dallo stato dei fiumi. È così che Gabriele Lonardi, medico veronese con laurea a Padova e specializzazione in malattie tropicali a Lisbona, esercita la sua professione.
Andò in Brasile nel 1980 per un progetto di cooperazione gestito da una Organizzazione Non Governativa ng padovana. Lavorò nell'Espírito Santo e poi nel Piauí, al nord-est.
uando ci fu la possibilità di recarsi nell’Amazzonia più profonda accettò di trasferirsi a Lábrea, all’estremo opposto del Brasile. Sono anni che Lonardi compie così lunghe trasferte in queste terre remote e inaccessibili, per occuparsi della salute di popolazioni che sono ferme a forme di vita ancora primitive.
Cura malaria, tubercolosi, anemie, filariosi, lebbra, verminosi che distruggono soprattutto i bambini. Le peggiori malattie tropicali qui proliferano tutte, trasmesse dagli insetti e aggravate dal clima, dall'igiene inesistente, dalla mancanza di medicine e di ospedali.
Di sé dice: «Ho seguito semplicemente il messaggio contenuto nella Enciclica Populorum Progressio di San Paolo VI che invitava la Chiesa a seguire il grido dei poveri e mettersi a disposizione, esortando i laici a un impegno personale. Gli indios sono esseri umani come noi e anche loro hanno diritto alla salute. Se la vita quasi casualmente mi ha portato da loro, come medico ho il dovere di prendermene cura. E qui mi sento davvero utile, agli altri e a me stesso».
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