Sappiamo tutti che nel pomeriggio del 4 agosto 2020 si sono verificate due esplosioni nel porto di Beirut, la capitale libanese. La seconda esplosione è stata molto potente: ha causato 178 morti e circa seimila feriti, mentre trenta persone sono tutt'ora disperse. I danni sono stimati tra gli 8 e i 12 miliardi di euro e circa 300mila persone sono ancora senza casa. Ma l'economia libanese era già in grave crisi prima di questa tragedia: il governo ha dichiarato nel marzo 2020 la bancarotta, la lira libanese è crollata e il tasso di povertà ha raggiunto il cinquanta per cento. Inoltre, la pandemia da Covid-19 ha travolto gli ospedali, già a corto di forniture mediche e non più in grado di pagare il personale a causa della crisi finanziaria.
Il porto di Beirut è un’infrastruttura vitale, perché è il principale punto d'ingresso per le merci via mare. Prima dell'esplosione comprendeva un grande terminal per lo stoccaggio dei cereali, che serviva da riserva nazionale per il grano.
Proprio vicino al porto, alla periferia nord della città c'è il quartiere Burj Hammoud, una cintura di povertà intorno alla capitale. Qui, nella parrocchia Notre Dame du Fleuve che fa parte della Chiesa Melkita (di rito greco-cattolico), i padri Fadi El Naaman e Albert Abi Azar sono impegnati in aiuto alle famiglie che hanno avuto dei danni in seguito all'esplosione. Tanti hanno visto le proprie abitazioni completamente o parzialmente distrutte e hanno avuto un familiare deceduto o scomparso nell'esplosione.
I padri chiedono a Cuore Amico un contributo per la sistemazione delle abitazioni nel quartiere riparando porte e finestre distrutte, vetri rotti, ricostruzione di muri o di parte del tetto. Piccole riparazioni che, però, consentono alle famiglie di vivere dignitosamente in casa loro. A chi ha avuto danni maggiori perdendo tutto nell’esplosione occorre dare un aiuto finanziario che copre l'acquisto di alimenti, le spese scolastiche dei bambini (per retta, libri e materiale di cancelleria) e le spese mediche, soprattutto a favore dei malati cronici e per i danni psicologici subiti (molti bambini hanno perso la parola e gli abitanti sognano ancora le esplosioni che ricordano la guerra).
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