Certo, la famiglia è il primo luogo educativo: la relazione con il padre e la madre e i fratelli è la base, ma a scuola si incontrano i compagni, gli insegnanti, persone diverse per età, per cultura, per origine, per capacità. La scuola e la famiglia sono ambedue necessarie.
La scuola educa al vero, al bene e al bello. È la strada che fa crescere le tre lingue di una persona matura: la lingua della mente, la lingua del cuore e la lingua delle mani.
Ecco perché crediamo nella scuola. Per questo sosteniamo le richieste che arrivano da missionari in tanti Paesi del mondo.
Don Lorenzo Milani aveva fatto scrivere sulla parete della scuola di Barbiana “I care”, che vuole dire “mi importa, mi sta a cuore”.
Aveva e ha ancora ragione.
Il mese di settembre è per tanti ragazzi e giovani una tappa importante: ricomincia la scuola e con essa un tempo impegnativo e arricchente.
Questi anni difficili ci hanno fatto capire una volta in più quanto sia importante andare a scuola per una crescita sana dei nostri figli e del nostro Paese, e per far si che la storia dei contadini di Fontamara (raccontata nel romanzo di Ignazio Silone - n.d.r.) rimanga solo un racconto. Il diritto all'istruzione però nella gran parte del mondo è ancora un lusso o un miraggio.
Lo sanno bene i missionari che operano in territori isolati, dove la popolazione vive di niente e patisce la fame, dove la scuola pubblica non esiste e l'analfabetismo dilaga.
In molti Paesi la scuola non è ancora garantita a tutti e, in questo momento, la situazione è ancora più complicata. Ecco perché dedichiamo attenzione ad alcune richieste giunte dai missionari.
L'Onu ha sancito il diritto all’istruzione nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948, lo stesso anno in cui la Costituzione italiana introduceva, nell'articolo 34, il diritto allo studio, garanzia per tutti i ragazzi, anche se privi di mezzi, di raggiungere i livelli più alti di istruzione.
Un principio che pandemia, guerre e crisi economica mette a dura prova. Ma non ha cancellato. E questo grazie alle tecnologie, alla flessibilità degli insegnanti, alla disponibilità e al senso di responsabilità di alunni e famiglie che hanno fatto la loro parte per continuare a imparare.
Ma se queste sono le preoccupazioni dei Paesi “ricchi”, non possiamo dimenticarci delle condizioni di tanti Paesi “poveri”, dove spesso i bambini e ancor più le bambine a scuola non possono andarci, perché le scuole proprio non ci sono o sono troppo distanti o i genitori non possono permettersi di mandarceli.
Non dobbiamo dimenticare il diritto allo studio di chi non riesce ancora ad averlo garantito.
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